Lo streaming ha avuto un ruolo fondamentale per la musica registrata e lo confermano i dati resi noti dall’International Federation of the Phonographic Industry (IFPI): nel 2021 i ricavi derivanti dallo streaming a pagamento e ad-supported rappresenteranno il 65% dei ricavi globali della musica registrata.
Il Syndicat national de l’édition phonographique (SNEP), associazione di categoria che rappresenta l’industria discografica francese, ha indicato che in Francia, con oltre 500 milioni di euro, la musica digitale contribuirà al 70% del valore totale del mercato nel 2021, rispetto al 10% del 2011.
Ma dietro ad un grande successo possono nascondersi molti pericoli e l’incremento della diffusione dei fake stream, ottenuti grazie a processi che aumentano artificialmente il numero di ascolti o di visualizzazioni per generare reddito, ne è la prova.
A fronte della diffusione di tale fenomeno, il Ministero della Cultura ha chiesto al Centro Nazionale della Musica (CNM) un’indagine più approfondita per calcolare l’impatto che tali frodi hanno sull’industria musicale.
Deezer, Qobuz, Spotify e un panel di distributori (Universal, Sony, Warner, Believe e Wagram che rappresentano oltre il 90% della top 10.000 di Spotify e oltre il 75% del volume globale di stream su Deezer) hanno dato la loro disponibilità a supporto della raccolta dati da parte dell’ente e hanno fornito il volume complessivo dei falsi ascolti rilevati sul mercato francese.
I grandi assenti sono stati invece Amazon Music, Apple Music e YouTube, che non hanno potuto o voluto condividere i loro dati, nonostante tutte le garanzie di riservatezza fornite dal CNM.
Dall’indagine del CNM, iniziata nell’estate 2021, è emerso che:
- La manipolazione dell’ascolto online è una realtà: secondo i dati di Deezer e Spotify, oltre l’80% delle frodi rilevate si colloca nella coda lunga (oltre la top 10.000) e, secondo i professionisti, potrebbe essere legato al desiderio dei detentori dei diritti con una notorietà limitata di emergere in un’offerta molto ricca o a una strategia di “parassitismo" che consiste nel generare ricavi artificiali di basso volume, ma nel tempo, rimanendo sotto il “radar". Per quanto riguarda i “top", si possono formulare anche due ipotesi alternative o cumulative: o i titoli più ascoltati sono proporzionalmente meno colpiti da queste pratiche fraudolente, oppure sono oggetto di tecniche fraudolente più difficili da individuare, che non mirano a creare un volume molto elevato di flussi falsi nel corso dell’intero anno, ma a ottimizzare una classifica a breve termine ai fini di una migliore referenziazione.
- In Francia, nel 2021, almeno tra 1 e 3 miliardi di stream sono falsi, ovvero tra l’1 e il 3% del volume totale di ascolto: a questi anderebbero aggiunti i falsi flussi non rilevati dal momento che i metodi utilizzati dai truffatori si evolvono e diventano sempre più sofisticati.
- La quota di stream rilevati proviene dall’hip-hop/rap: questo è abbastanza logico, dato che si tratta dei generi più ascoltati (oltre il 50% della top 10.000 su Spotify e il 40% su Deezer). L’hip-hop/rap rappresenta l’84,5% degli stream rilevati su Spotify e il 27,7% su Deezer. Tuttavia, rispetto al numero totale di ascolti di brani hip-hop/rap, i passaggi fraudolenti rappresentano solo una percentuale molto piccola, lo 0,4% su Spotify e lo 0,7% su Deezer, mentre la quota di stream rilevati come fraudolenti su tutti gli ascolti di un determinato genere è molto più alta per la musica d’ambiente (4,8% su Deezer) e i brani non musicali (3,5%). Questa tendenza è confermata dall’osservazione dei dati dei distributori. In termini di età del catalogo, nella top 10.000 di Spotify (arricchita dai dati dei distributori), il 96% della rilevazione proviene da musica nuova e il 93% dal catalogo locale francese. La quota di stream rilevati sulle nuove uscite locali è dello 0,46%. Nella top 10 000 di Qobuz è dell’1,18% e dello 0,75% su Deezer.
Alla luce dei dati, il CNM ha proposto la stesura di una carta interprofessionale per prevenire e combattere la manipolazione degli ascolti online che permetterebbe di stabilire una definizione precisa di queste pratiche e di sensibilizzare tutti i professionisti, al fine di effettuare un audit dei dati e dei metodi di rilevazione e, in collaborazione con il Pôle d’expertise de la régulation numérique (PEReN) del Ministero dell’Economia, una diagnosi di trasparenza.
Fondamentale e strategico, alla luce dei risultati restituiti dall’inchiesta dell’istituzione francese, sarà il ruolo che di DSP sceglieranno di giocare in questa battaglia. “Spotify prende molto sul serio la manipolazione dello streaming, e da tempo ha messo in atto misure e risorse di rilevamento per prevenire, rilevare e arginare questo tipo di attività, che hanno prodotto risultati tangibili”, ha spiegato un portavoce della piattaforma guidata da Daniel Ek: “Per questo motivo è stato importante, per noi, partecipare all’indagine del CNM”.
“In Francia, nel 2021, solo lo 0,23% dei primi 10.000 brani più ascoltati su Spotify ha mostrato segni di manipolazione e, sul catalogo totale, la percentuale dei titoli interessati dal fenomeno è solo dell’1,14%”, prosegue la nota: “E’ importante sapere che queste percentuali rappresentano stream manipolati che abbiamo mitigato, il che implica che non hanno influito sui pagamenti dei nostri artisti o sulle nostre classifiche. Continueremo a collaborare strettamente con il CNM ei nostri partner del settore su questo tema per arginare questa pratica”.
Grande assente, ricordavamo prima, è YouTube. La piattaforma controllata da Google non ha diffuso comunicati ufficiali per rispondere all’appello del CNM. Il servizio, tuttavia, ha dedicato – già da tempo – un paragrafo dedicato alla manipolazione degli stream nelle pagine che riferiscono la propria policy. “YouTube non consente azioni che aumentino artificialmente il numero di visualizzazioni, like, commenti o altre metriche utilizzando sistemi automatici o mostrando video a spettatori che non l’abbiano richiesto”, si legge nelle linee guida del DSP: “Chi assume qualcuno per promuovere il proprio canale sappia che la sua scelta potrebbe avere ripercussioni sul proprio canale. Qualsiasi metodo che violi le nostre linee guida può comportare la rimozione dei contenuti o la rimozione del canale”. YouTube specifica inoltre di aver vietato la promozione, sulla propria piattaforma, di piani e programmi volti ad aumentare visualizzazioni, engagement o like dei contenuti ospitati sui propri server.